Persone come parte del paesaggio: Riflessioni sulle foto della vacanza e il loro utilizzo online

È un giorno qualsiasi su Instagram, quando un’influencer americana condivide nelle stories le immagini del suo viaggio in India. In un video, il telefono è puntato a un uomo che si lava, all’aperto, con dei secchi d’acqua. La didascalia ci ricorda che scene come questa dovrebbero farci sentire fortunatə, e che dovremmo essere gratə di ciò che abbiamo. Tra le righe, si esortano ə follower occidentali a ringraziare di non essere messə male come il malcapitato, finito a sua insaputa negli schermi di migliaia di persone che lo osservano con commiserazione mentre si fa la doccia.

Se avete mai fatto un weekend fuori città, o magari una vacanza all’estero, è probabile che a un certo punto abbiate tirato fuori il telefono o la macchina fotografica per immortalare il momento. Quando si viaggia, si vedono posti e persone nuove, e spesso si fanno più foto del solito. L’immagine che abbiamo del luogo che visitiamo non è però immune da condizionamenti esterni, e il modo in cui un territorio o una popolazione vengono rappresentati nel nostro contesto di origine influenzerà il nostro sguardo, soprattutto se bianco ed eurocentrico.

Le persone come parte del paesaggio

In viaggio, senza rendersene conto, si rischia di osservare la popolazione locale come parte del paesaggio, oggettificandola. Un abbigliamento tradizionale, un’acconciatura diversa da quello a cui siamo abituatə, un’attività per noi inusuale catturano l’attenzione e ci portano a voler mostrare quell’immagine sui social, per condividere quella che per noi è “un’esperienza”, dimenticando che si tratta di persone. In particolare, i social sono popolati da selfie di persone bianche occidentali circondate da bambinə africanə, che supportano la narrativa white savior. Il doppio standard è evidente: non penseremmo mai di andare in Svezia e farci i selfie con bambinə incontratə per strada, tanto meno condividere i loro volti  sui social senza il consenso delle famiglie. Vedremmo subito il problema se unə turista venisse nel nostro quartiere e ci piazzasse la fotocamera in faccia mentre andiamo a lavoro o mentre stendiamo i panni in balcone, magari aggiungendo didascalie strappalacrime su quanto, dopo aver visto come siamo messə noi, dovrebbero essere più gratə di ciò che hanno.

Questo è un fenomeno particolarmente dannoso nell’ambito del cosiddetto volonturismo. Il termine in sé definisce il volontariato all’estero come un mix tra impegno umanitario e vacanza. Nella sua accezione negativa, più comunemente usata, indica l’azione di chi si reca come volontariə in un altro paese, svolgendo attività senza nessuna competenza, e spesso facendo più male che bene. Il problema però può riguardare anche chi si reca all’estero da professionista nel settore umanitario, per lavoro in generale o anche solo per svago.

Come comportarsi?

Ma quindi, non si possono fotografare le persone nel Paese che stiamo visitando? La risposta breve è: dipende da caso a caso. Se assistiamo ad eventi, spettacoli ed esibizioni pubbliche, soprattutto in zone notoriamente turistiche, è solitamente previsto ed accettato che chi assiste decida di riprendere e condividere sui social. Attenzione però a non dare nulla per scontato: persone che ballano e cantano in pubblico non si stanno necessariamente esibendo, potrebbe ad esempio trattarsi di un funerale. Non tutte le regole possono valere in ogni circostanza, possiamo però identificare dei criteri generali, che vi invitiamo a seguire durante il vostro prossimo viaggio.

  1. Come primo step, diamo alle altre persone il rispetto che ci aspetteremmo nei nostri confronti se le parti fossero invertite, e rispettiamone la privacy e la dignità. Vale la pena ripeterlo, unə sconosciutə che riprende bambinə per strada in Italia e ne condivide le immagini online senza permesso non sarebbe sicuramente vistə di buon occhio. Un turista tedesco che, come se fosse allo zoo, ci punta la macchina fotografica addosso mentre andiamo al supermercato ci metterebbe facilmente a disagio.
  2. Prima di scattare o riprendere, specialmente se si inquadra il viso e la persona è riconoscibile, chiediamo il permesso. In questo passaggio, è importante specificare che uso s’intende fare di quell’immagine. Il consenso non basta se la persona in questione non sa che quella foto verrà condivisa sui social, soprattutto se si tratta di profili molto seguiti o se si ricaverà un profitto da quell’immagine.
  3. È inoltre fondamentale fare le dovute ricerche prima di partire. In alcune zone turistiche, le persone locali indossano abiti tradizionali e/o passeggiano con animali tipici del posto per lavoro, offrendo di posare per una foto in cambio di un pagamento. Indipendentemente dalla nostra opinione su questa o altre pratiche, scattare e andare via senza pagare è una mancanza di rispetto per chi sta a tutti gli effetti lavorando.
  4. Infine, anche se abbiamo il permesso di scattare e condividere, o abbiamo pagato per un servizio, chiediamoci che tipo di narrazione vogliamo diffondere con la condivisione di quella immagine. È pietistica? Rafforza i preconcetti su un determinato gruppo etnico o nazionalità? Stiamo facendo poverty porn? Non tutto va necessariamente condiviso sui social solo perché è legale o abbiamo il consenso del soggetto interessato. Si può riflettere, anche a posteriori, su un atteggiamento sbagliato, decidendo di non condividere o eliminare eventuali rappresentazioni poco rispettose.

Brunno Braga, “Tik Toker Exposes ‘White Saviors’ Photographing Black Children In Africa And Video Goes Viral”, Travel Noire, 2022

Sarah Barrell, “Is your travel photography ethical?”, National Geographic, 2020

Nathalie Dortonne, “The dangers of poverty porn”, CNN, 2016

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