Disturbi del Comportamento Alimentare in viaggio: come aiutare

La Giornata Mondiale del Fiocchetto Lilla: cosa c’entra con il viaggiare?

Oggi è la Giornata Mondiale del Fiocchetto Lilla, un giorno pensato per sensibilizzare l’attenzione pubblica e tenerla costantemente alta sul tema dei Disturbi del Comportamento Alimentare.

Verrebbe da pensare che accostare un tema tanto difficile e doloroso a un aspetto piacevole e “leggero” della vita come il viaggio sia inappropriato o fuori contesto. Eppure è proprio dal dialogo sulla quotidianità e dalle condivisioni sui piccoli aspetti della vita che possiamo agire più concretamente, per rendere meno difficile l’esistenza a chi sta lottando contro un DCA (e ha tutto il diritto di continuare a vivere, nel frattempo, con i propri mezzi e le proprie possibilità).

Per questo ci troviamo qui, per provare a fornire strumenti di consapevolezza e riflessione. Non tanto alle persone che vivono il disturbo alimentare, quanto a chi sta loro accanto e ancor più a chi pensa e progetta servizi turistici e ristorativi per loro. Online troviamo infatti molti contenuti validi e importanti su come gestire i propri DCA in viaggio, mentre scarseggiano (purtroppo) consigli e spunti rivolti a chi può adottare piccoli e significativi cambiamenti per migliorare questi momenti.

Foto di Kampus Production

Viaggiare con un disturbo del comportamento alimentare

Il viaggio è un’esperienza potenzialmente molto difficile per la persona affetta da un disturbo del comportamento alimentare: condividere spazi che normalmente sono riservati, la tradizione di consumare i pasti insieme alle persone con cui si viaggia e sotto lo sguardo di una moltitudine di altrə, i riti interrotti da nuovi ritmi e orari diversi dal proprio piano abituale, le pietanze diverse, i momenti di socialità aumentati e non evitabili… Insomma, ci sono abbastanza ragioni per scatenare un accumulo di ansia e stress in una persona che sta già vivendo una situazione enorme e molto complessa.

Cosa si può fare, concretamente, per alleviare una parte di questa angoscia e rendere l’esperienza del viaggio più accessibile anche a chi sperimenta una situazione di salute mentale compromessa dai DCA?

Divideremo le riflessioni e le proposte in due gruppi: per chi viaggia insieme a una persona con disturbi alimentari e per chi offre servizi turistici e/o ristorativi (o legati in ogni caso all’accoglienza).

Come aiutare una persona con disturbi del comportamento alimentare, durante il viaggio?

Se viaggi con una persona che soffre di DCA, queste sono le cose che potresti fare per aiutarla:

Essere flessibili

La persona con cui viaggi potrebbe avere difficoltà a provare cibi nuovi e troppo lontani dalla sua comfort zone, o potrebbe sentirsi a disagio a consumare ogni pasto al ristorante e preferire modalità meno conviviali. Potresti proporre diverse alternative, senza creare pressione o farlo diventare un argomento centrale e impegnativo. E prepararti a qualche cambio di programma, con apertura mentale e un po’ di pazienza.

Garantire privacy

I momenti di privacy, soprattutto se legati ad azioni “vulnerabili allo sguardo altrui” come lavarsi o cambiarsi i vestiti, possono generare molto stress in una persona con DCA. Garantire spazi privati e gestire con discrezione ogni possibile interazione con il corpo altrui (sì, anche quando si conosce intimamente l’altra persona) sono azioni positive e benefiche.

Farsi bastare il silenzio

È difficile, lo sappiamo, è difficilissimo notare comportamenti pericolosi in una persona a noi cara e non farglieli presente. Una parte di noi sente di “dover salvare”, dover fare qualcosa, a ogni costo. Ma i tempi di elaborazione, di confronto e azione sono molto diversi da quelli che immaginiamo. Ci fa male, ma dovremo farci bastare il silenzio. Qualsiasi domanda, considerazione o discussione per esprimere la propria paura e proporre il proprio aiuto (se fatto con le dovute e corrette modalità) può aspettare la fine di un viaggio. Altrimenti potremmo involontariamente caricare di senso di colpa l’altra persona, che avrà per sempre il ricordo di un’esperienza bella fatta insieme “macchiato” da quella che nella stragrande maggior parte dei casi diventa una discussione difficile e dolorosa.

Prepararsi alla possibilità di cambiare i piani

Una persona che soffre di DCA potrebbe decidere all’ultimo di non sentirsi pronta per un viaggio, potrebbe non riuscire proprio ad accettarlo. Il tuo dispiacere per una cosa bella annullata è legittimo, ma aggiungere senso di colpa con atteggiamenti di rabbia e non comprensione potrebbe compromettere ulteriormente il modo in cui l’altra persona si sente (a occhio e memoria, direi malissimo).

E cosa possono fare le strutture ricettive/ristorative per agevolare l’esperienza di una persona con DCA?

Foto di Rodnae Production

Se sei responsabile di una struttura ricettiva/turistica/ristorativa o ci lavori, queste sono le cose che potresti fare per aiutare ə tuə clienti con DCA:

Non commentare il piatto

Mai commentare quello che una persona mangia o non mangia. Sembrerà banale, e scontato. Purtroppo non lo è. Per mancanza di educazione e formazione sul tema, molte persone che lavorano nella ristorazione pensano sia legittimo chiedere conto aə clienti di ciò che hanno nel piatto. Non sempre dietro c’è maleducazione o cattiva fede, stai lavorando e sicuramente vuoi solo essere gentile chiedendo alla persona se non voglia “proprio proprio nient’altro?”. Ma questo atteggiamento (come molti altri: chiedere come mai si sia lasciato tanto cibo nel piatto, chiedere se si è saltata una portata perché non piacciono le proposte e suggerire qualcos’altro, commentare anche in maniera innocente e positiva che si vede che si è apprezzato molto il pasto, ecc) può innescare una serie di reazioni anche molto violente dentro l’altra persona.

Non parlare di vomito

Lo so, dovrai pulire tu o qualche altra persona vicino a te, è difficile, può provocarti disagio e potrebbe crearti problemi con il resto della clientela. Non è una situazione facile da gestire, puoi comprensibilmente provare fastidio. Ma non chiedere mai apertamente a unə cliente se ha rimesso in bagno. È letteralmente il suo peggiore incubo e può avere effetti disastrosi sul suo disturbo. (Mi permetto di precisare che dico questa cosa perché conosco molte persone a cui è successo; so che l’intenzione è sempre capire se la persona si stia sentendo male e abbia bisogno di aiuto, ma se è così ce lo comunicherà).

Scegli la soluzione a buffet

Se puoi (e sempre prestando attenzione a evitare gli sprechi alimentari) scegli la soluzione a buffet, almeno per antipasti e verdure o dolci. Sembra una sciocchezza, ma i piatti già pronti causano nella totalità dei casi di persone con DCA sensazioni negative. Se è sostenibile per te pensare a una soluzione di questo tipo, in cui la persona si sente più libera di controllare ciò che mette nel piatto, può essere un grande aiuto durante i pasti (il momento più difficile in viaggio).

In aggiunta a questo, sempre secondo disponibilità personale, aggiungerei: dare la possibilità di offrire menù baby e di dividere piatti. In moltissimi posti queste richieste sono viste con fastidio – e mi rendo conto che stiamo parlando di argomenti delicati come il guadagno dell’attività. Considerate però che sono piccole accortezze che in realtà verranno scelte come opzioni da poche persone.

Non voglio infantilizzare le persone che soffrono di DCA, non voglio dire che vanno trattate come vasi di cristallo fragilissimi, non voglio togliere loro la voce e la possibilità di esprimere i propri bisogni e le proprie preferenze. Ma sono stata dall’altra parte, per tanto tempo.

Nei dieci anni in cui ho sofferto di disturbi del comportamento alimentare ho viaggiato moltissimo. E ho vissuto situazioni difficili.

Non era colpa delle persone intorno a me non avere gli strumenti per capirmi, come non era colpa mia soffrire di disordini alimentari. Oggi abbiamo più possibilità di condividere sguardi, mezzi e risorse. Usare questa capacità per allenare e migliorare la nostra sensibilità ai bisogni altrui è un bel modo per crescere. Quelli elencati sono piccoli accorgimenti (alla fine, diciamolo con onestà, nella maggior parte dei casi davvero minimi) con cui potremmo essere d’aiuto.

[Sento il bisogno di fare una specifica, perché è un pensiero che mi assilla da quando ho iniziato a scrivere e non voglio ci sia neanche il rischio di venire mal interpretata su qualcosa che mi sta tanto a cuore:

No, aiutare le persone andando incontro alle loro esigenze non significa avallare o sostenere i loro disturbi alimentari. Pensare a delle soluzioni di contenimento delle abitudini non è come dire “va tutto bene”. So che è un discorso lungo e complessissimo, quindi non provo nemmeno a banalizzarlo. Vediamola così: qui si sta parlando di un solo, piccolissimo momento circoscritto nel tempo e nello spazio. Quello del viaggio. Non risolveremo la vita di una persona in quell’istante (non potremmo neanche volendo, ma limitiamoci alle considerazioni pragmatiche) quindi l’unico effetto che rischieremmo di ottenere con comportamenti e azioni non corretti sarebbe di contribuire a un dolore e a un malessere che, invece, possiamo temporaneamente arginare.]

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