Viaggi Accessibili: Il gruppo Facebook – Intervista a Paolo Vargiu

Intervista a Paolo Vargiu

“Viaggi accessibili” è un gruppo Facebook per chi ha una disabilità motoria (o viaggia con qualcuno che ha una disabilità motoria) e cerca un luogo per poter scambiare informazioni con altre persone direttamente interessate dai problemi di inaccessibilità quando si viaggia. In questo gruppo si condividono recensioni “ad hoc”, pratiche e accurate, su alberghi, bagni, locali e siti turistici, in modo da semplificare l’ingrato compito di organizzare un viaggio accessibile.
Abbiamo intervistato Paolo Vargiu, un amministratore del gruppo. E siccome vive a Leicester, nel Regno Unito, ne abbiamo approfittato per chiedergli anche com’è vivere lì da persona disabile.

Presentati!

Paolo Vargiu

So’ Lillo.
No, scherzo. Ho 39 anni, sono un giurista, un bassista e da pochi anni anche un attivista; pochi non perché mi sia affacciato tardi all’attivismo ma perché fino a 33 anni non ero disabile, e probabilmente ero anche, come troppi, inconsciamente abilista. Una mattina mi sono svegliato paralizzato dal petto in giù, regalo di un tumore dentro la spina dorsale che fino ad allora non aveva mai nemmeno telefonato, e da quel giorno mi muovo su una carrozza manuale superleggera (credo sia un termine tecnico, perché i graffi e le ammaccature che ha arrecato alla mia auto suggeriscono una classificazione diversa).

Com’è nato il gruppo “Viaggi accessibili” e come funziona? 

Viaggi Accessibili nasce da un’idea di Bea, viaggiatrice compulsiva e compagna di un paraplegico, per scambiare informazioni tra disabili e partner viaggiatori senza mediazioni o conflitti d’interesse. Il gruppo avrebbe potuto essere molto più grande e più attivo – come Accessible Travel Club, per esempio – se avessimo aperto a provider, mediatori, agenti di viaggio e altri professionisti del settore.

Bea non voleva un gruppo così aperto per due motivi: uno è che sarebbe stato inevitabile avere spam, offerte di vario tipo, flame e altri problemi tipici dei gruppi facebook, e si è preferito avere numeri più bassi ma più tematicità nelle conversazioni; l’altro motivo è che lo scopo del gruppo è lo scambio di informazioni, e la presenza di stakeholders avrebbe necessariamente limitato tale scambio. Siccome su Viaggi Accessibili è impossibile vendere qualcosa a qualcuno, siano viaggi o anche solo visibilità, e vogliamo tenere la discussione focalizzata su un certo tipo di accessibilità, paghiamo un prezzo particolare a livello di numeri: accettiamo solo utenti con disabilità motorie e i loro compagni di viaggio.

A volte abbiamo avuto equivoci simpatici (gente che entrava convinta che l’accessibilità dei viaggi significasse un basso costo) e a volte meno simpatici: una ragazza con una disabilità non motoria è entrata, ha fatto un giro, e poi ci ha postato un cazziatone sul fatto che eravamo abilisti perché non fornivamo un servizio a tutte le persone disabili, ma solo a certe. Da quel giorno abbiamo un disclaimer piuttosto lungo che spiega esplicitamente che Viaggi Accessibili è un gruppo di discussione tra pari, non un fornitore di servizi, e i problemi si sono quasi azzerati.

Il gruppo adesso è poco attivo perché la pandemia ha reso viaggiare difficile per tutti e quasi impossibile per le persone disabili, ma in tempi “normali” si avevano uno o due nuovi post al giorno. Abbiamo tentato in vari modi di aumentare i numeri e l’engagement, ma ci siamo arresi davanti al fatto che troppi usano internet e facebook come le pagine gialle: vogliono entrare, prendere l’informazione che gli serve e tante care cose, senza capire la differenza tra Google, che è una delle aziende più grosse al mondo, e un gruppo di discussione che funziona solo sulla base del quid pro quo.

Va bene così, comunque: il gruppo è solido, attivo, e salva qualche eccezione copriamo quasi l’intero globo. E siamo probabilmente il gruppo più informato d’Italia sui bagni accessibili in hotel, ristoranti e strutture ricettive: abbiamo iniziato a postare le foto dei bagni quasi per gioco, sulla base del fatto che troppe volte tali strutture vengono definite “accessibili” salvo rivelarsi impossibili da utilizzare per un disabile motorio, e in poco tempo le foto del bagno sono diventate lo standard delle nostre recensioni, la discriminante perché un posto venga raccomandato o meno dagli utenti del gruppo, e anche una miniera di idee per rifare il bagno di casa.

Com’è vivere in Inghilterra da persona che usa una carrozzina manuale? Ci sono differenze rispetto all’Italia?

È una domanda complessa perché impone la considerazione di fattori culturali. Premesso che io ci sto benissimo, la mia esperienza è quella di un paraplegico con un lavoro a tempo pieno, una serie di privilegi dettati dall’essere – per quanto disabile – maschio e bianco, e una minima visibilità garantita dalla mia professione; l’assenza di anche uno solo di questi elementi probabilmente mi porterebbe ad avere opinioni diverse. L’Inghilterra gode di ottima reputazione in Italia, un po’ perché siamo tendenzialmente esterofili, un po’ perché amiamo sottolineare le cose che non funzionano dell’Italia e in molti contesti dire Londra è come dire Bengodi, un po’ perché gli Inglesi stessi parlano dell’Inghilterra come il paese più avanzato del mondo a prescindere dalla realtà dei fatti (e il resto del mondo ci casca).

Sicuramente, vista da una carrozza, vivere in Inghilterra è statisticamente più semplice che in Italia per un motivo puramente geografico e uno storico: l’Inghilterra è sostanzialmente piatta, ed è stata largamente ricostruita dopo la seconda guerra mondiale. Questo fa sì non solo che strade in salita o discesa siano meno frequenti che in Italia, ma anche che i centri delle città siano più o meno tutti uguali (uscire dalla stazione ferroviaria di Nottingham o di Leeds può addirittura disorientare per quanto si somigliano) e rendono possibile programmare un viaggio o una visita abbastanza agevolmente. Inoltre è un paese che ha avuto un ruolo pionieristico nell’integrazione delle persone con disabilità motoria nella società (si pensi al concetto stesso di paralimpiadi, che è nato nel Regno Unito), quindi c’è abbastanza attenzione all’accessibilità degli spazi e in generale al rispetto dei diritti. Il rovescio della medaglia è che la cultura britannica è profondamente formalista: a prima vista può sembrare che determinati temi siano costantemente al centro dell’agenda politica e amministrativa, ma nella pratica quotidiana gli unici diritti che valgono sono quelli inclusi nell’Equality Act, con tutte le loro limitazioni.

“Ci dispiace, ma non possiamo aiutarti”

Questa è una frase che qualsiasi disabile in Inghilterra si sente dire tre volte al giorno, perché se un diritto esiste sicuramente sarà esercitabile, ma se tale diritto non c’è, o non è espresso chiaramente, nessuno muoverà un muscolo per trovare una soluzione. Un esempio è quello delle costruzioni: un palazzo di nuova progettazione deve per forza essere pienamente accessibile, ma qualsiasi cosa sia “listed” – cioè inserita nella lista delle costruzioni di interesse storico – deve essere preservata, e l’interesse alla conservazione prevale sui diritti delle persone disabili. Ciò non sarebbe un problema enorme se stessimo parlando di monumenti storici, ma in Inghilterra quasi tutto ciò che sia stato costruito dopo il 1960 e non sia edilizia popolare è listed: gli inglesi riconvertono fabbriche, magazzini, scuole, tendono a demolire lo stretto indispensabile.

Questo fa sì che il paesaggio urbano sia oggettivamente interessantissimo, ma rende la vita difficilissima a chi gira su ruote. In Italia magari si trovano più scalini, marciapiedi alti mezzo metro e ingressi ostici, ma si trovano anche soluzioni – magari non giuridicamente impeccabili, ma funzionali.

A livello di qualità della vita molto dipende dal tipo di disabilità, che influisce sull’ammontare dell’assegno di accompagnamento e sul “personal independence payment” (una sorta di pensione di invalidità finalizzata al raggiungimento dell’indipendenza negli aspetti basici della vita quotidiana). La mia visione, ripeto, è fortemente influenzata dalla mia condizione di paraplegico: disabilità diverse vengono trattate differentemente tanto da un punto di vista economico quanto assistenziale.

Di base, esiste un solco enorme tra i paraplegici che lavorano e quelli che non possono lavorare, o non trovano lavoro. L’assegno di accompagnamento e la pensione di invalidità sono ben inferiori a quelli italiani, soprattutto se rapportati al costo della vita, al punto che per chi lavora risultano essere semplicemente il tanto necessario per rendere il proprio tenore di vita identico a quello dei non disabili che facciano lo stesso mestiere, ma per chi non lavora sono a malapena sufficienti per coprire le spese vive [N.d.R. Per le persone non autosufficienti il discorso è un po’ diverso: ci sono fondi per l’assistenza decisamente più cospicui che in Italia].

Inoltre, il sistema sanitario nazionale è formalmente pubblico, ma tantissimi servizi – fra cui la fornitura di carrozzine e presidi – sono appaltati a privati. Anche qui, chi lavora riesce a collaborare con tali privati e, mettendoci del proprio, può acquistare una carrozzina che assicuri l’indipendenza; chi non lavora deve affidarsi ai vari Wheelchair Service che, a seconda della zona in cui si risiede, possono fornire una carrozzina manuale spaziale come un bidone da ospedale che rende oggettivamente impossibile uscire di casa da soli.

La cosiddetta “postcode lottery” (cioè la tangibile differenza di welfare a seconda della contea di residenza), comunque, non è solo un problema legato alla disabilità, ma colpisce in varie maniere tutte le persone marginalizzate, spesso amplificando le difficoltà causate da una forbice tra abbienti e non abbienti in costante espansione. Il volontariato è più forte in Inghilterra rispetto all’Italia e l’associazionismo è molto più attivo e capillare; anche questo però non è necessariamente un fatto positivo, perché è dovuto a un’oggettiva carenza di interesse statale al miglioramento della qualità della vita.

Al tempo stesso, l’associazionismo è vero associazionismo: ci sono anche personaggi in cerca di gloria che provano a mascherare i loro progetti solisti come organizzazioni di disabili, ma per fortuna non raggiungono neanche il proverbiale quarto d’ora di fama. Brecht scriveva che il popolo felice è quello che non ha bisogno di eroi, e effettivamente da attivista lavoro meglio in Inghilterra, ma la nostra comunità sarà felice solo quando non avrà nemmeno bisogno di attivisti – e quello è un momento ancora lontano tanto in Inghilterra quanto in Italia.

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