Più che vagoni rosa, vorremmo viaggi verde (speranza, quella di uscirne indenni)

Sui corpi delle donne (e delle persone socializzate come tali) si dibatte sempre. La discussione comune resta perennemente aperta – e la miccia che innesca la polemica spesso è corta.

Quando si parla di violenza tutto si complica, in parte perché la tendenza alla polarizzazione riduce lo spazio della complessità e in parte perché il rischio di presentare una posizione come verità definitiva, che non contempla il confronto e la modifica, è molto alto.

La petizione

Abbiamo assistito a questo fenomeno nei giorni scorsi: in seguito all’ennesimo caso di violenza sessuale in viaggio (due violenze su un treno nella tratta Milano-Varese), è emersa una proposta non istituzionale lanciata dal basso e diffusa attraverso la piattaforma per le petizioni Change.org. La proposta, dal titolo “Vogliamo viaggiare sicure” propone alla compagnia Trenord di dedicare la prima carrozza dei treni alle donne, una sorta di “scomparto rosa” per garantire maggiore sicurezza.

La sicurezza delle donne

Il tema della sicurezza (o meglio sulla mancata sicurezza) delle donne in viaggio, e in generale negli spostamenti, è fortemente sentito e non ha ancora trovato nel corso del tempo soluzioni complete per un miglioramento concreto. Sarò sincera: da donna che si sposta prevalentemente con i mezzi pubblici e spesso lavora la sera, ho inizialmente accolto la proposta dei vagoni riservati alle donne con un sospiro di sollievo. Quante volte avrei voluto uno spazio sicuro, in varie situazioni di tensione in cui ho percepito il pericolo.
Nonostante ciò, non riesco a condividere l’idea.

La percepisco come l’ennesimo tentativo di rendere protagonista chi subisce violenza al posto di chi la agisce, come ogni discorso riguardante la violenza di genere che cerca una risposta nella modificazione dei comportamenti delle donne (e delle persone socializzate come tali) e nella limitazione delle loro possibilità.

Perché gli insegnamenti in merito sono vari: come evitare situazioni di pericolo in strada, come vestirsi per non incorrere nella molestia, come rincasare la sera senza esporsi alle aggressioni, come scappare da una relazione violenta.

Ogni “consiglio” in merito prevede di agire sempre da una parte sola: quella più debole, perché quella che non ha un reale potere o certezza per impedire la violenza.

Così facendo, si va a porre una toppa laddove servirebbero invece azioni concrete di prevenzione e rieducazione collettiva. L’intervento essenziale è di tipo comunitario, richiede lo scardinamento della violenza di genere dal nostro tessuto sociale (che ne è impregnato, e dove la violenza ha libertà di diffondersi e perpetrarsi grazie a una cultura che la avvalla e insegna). Appare ovvio come questa non sia una soluzione immediata, di semplice attuazione, pratica e concreta nel breve termine; non vedo però perché non tenerla sempre in conto, rimarcandola e chiedendola a gran voce, in un binario parallelo a misure più agili che possano rispondere all’emergenza (no, la violenza di genere non è un’emergenza, perché è radicata ed endemica, ma le azioni per ridurre gli episodi di violenza devono avere carattere emergenziale).


Questo mi piacerebbe fosse la proposta dei “vagoni rosa”: il binario dell’urgenza, una proposta che si fa forza dei singoli apporti che emergono dal confronto fra le varie idee, che amplia il discorso e chiede una presa di posizione concreta da parte di chi ha il potere di prendere decisioni esecutive in merito. L’introduzione di vagoni riservati alle donne non ha fatto diminuire le violenze in Paesi che hanno già da tempo introdotto la pratica (come in Giappone, India, Egitto), e questo perché la segregazione non può essere una risposta.

Interrogativi aperti

Rimarrebbero aperti inoltre troppi interrogativi: c’è abbastanza personale per garantire il controllo di questi vagoni? E perché non impiegarlo per presidiare stabilmente gli interi mezzi? Come si stabilisce chi può accedere al vagone riservato? Tramite documento identificativo? Questo espone a rischi concreti di transfobia nei confronti delle donne trans e anche a discriminazione per altre persone AFAB. Come si garantisce la sicurezza una volta lasciato il treno? Questi vagoni tengono in conto le donne e le persone con disabilità che hanno bisogno di spazi appositi? In mancanza di controllo in presenza, non rischiano di diventare delle trappole?


Gli interrogativi sono molti, così come le problematiche che sollevano e che non possono essere ignorate. Per questo dico che, nella mia personale opinione, non possiamo pensare di risolvere i problemi di sicurezza in viaggio con simili soluzioni. Ma delle soluzioni vanno trovate, tenendo in considerazione primariamente tutte quelle donne che non possono concedersi il lusso di rinunciare ai mezzi pubblici e hanno bisogno di cambiamenti concreti che le aiutino.

E senza dimenticare tutte quelle che vivono il viaggio come un momento di timore e per questo se ne privano. Non bisogna certamente disincentivare le donne dagli spostamenti e dai viaggi, ma la paura concreta di subire aggressioni è di fatto un ostacolo alla propria volontà e autodeterminazione.


Non ho una risposta, vorrei fosse così semplice, ma credo fermamente che non dovremmo limitare lo scambio sul tema a un “pro” o “contro”. Dovremmo invece continuare a interrogarci, procedere per tentativi, migliorarci comunemente. E non smettere di pretendere una società diversa – una nella quale non doverci mai più preoccupare di queste cose.

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